Ricorso Contro Intimazione Di Pagamento

L’intimazione di pagamento è un atto formale attraverso il quale l’ente creditore, come l’Agenzia delle Entrate Riscossione, sollecita il debitore al pagamento di somme dovute, spesso relative a cartelle esattoriali o avvisi di addebito precedentemente notificati. Ricevere un’intimazione di pagamento può generare preoccupazione, ma è fondamentale comprendere i propri diritti e le procedure disponibili per contestare eventuali irregolarità.

Questa guida di Studio Monardo, gli avvocati specializzati in cancellazione debiti con l’Agenzia delle Entrate Riscossione, approfondisce le domande più comuni riguardanti il ricorso contro l’intimazione di pagamento, fornendo chiarimenti basati sulla normativa vigente e su esempi pratici.

Cos’è un’intimazione di pagamento?

L’intimazione di pagamento è un atto formale attraverso il quale un creditore richiede al debitore l’adempimento di un’obbligazione pecuniaria entro un termine specifico. Questo strumento è comunemente utilizzato in vari contesti, tra cui contratti di vendita, mutui e locazioni, per sollecitare il pagamento di somme dovute. La sua funzione principale è quella di costituire in mora il debitore, avvertendolo che, in caso di inadempimento, si procederà per vie legali.

La normativa italiana disciplina l’intimazione di pagamento in diversi ambiti. Ad esempio, nel contesto della riscossione coattiva dei tributi, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può emettere un’intimazione di pagamento per sollecitare il saldo di debiti fiscali non pagati. Questo atto è previsto dall’articolo 50 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, che regola la riscossione delle imposte sul reddito. Secondo tale disposizione, se l’esecuzione forzata non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l’agente della riscossione deve notificare un’intimazione ad adempiere, concedendo al debitore un termine non inferiore a cinque giorni per effettuare il pagamento prima di procedere con l’esecuzione forzata.

L’intimazione di pagamento deve contenere informazioni essenziali, quali l’importo dovuto, la causale del debito, il termine entro cui effettuare il pagamento e le modalità di versamento. La notifica dell’intimazione può avvenire tramite consegna a mano, raccomandata con avviso di ricevimento o altri mezzi previsti dalla legge, garantendo così che il debitore ne sia effettivamente informato.

In caso di mancato pagamento entro il termine stabilito, il creditore ha il diritto di intraprendere azioni legali per recuperare il credito. Queste possono includere il pignoramento dei beni del debitore, l’iscrizione di ipoteche su immobili o altre misure esecutive. È importante notare che l’intimazione di pagamento interrompe i termini di prescrizione del credito, facendo sì che inizi un nuovo periodo di prescrizione dalla data di notifica dell’atto.

Per il debitore, ricevere un’intimazione di pagamento rappresenta un segnale chiaro della necessità di affrontare il debito. È consigliabile, in tali circostanze, verificare la legittimità della richiesta, controllando la correttezza degli importi e la validità del credito vantato. Qualora si riscontrino irregolarità o si ritenga che il debito non sia dovuto, è possibile contestare l’intimazione presentando un’opposizione nelle sedi competenti entro i termini previsti dalla legge.

In conclusione, l’intimazione di pagamento è uno strumento legale che consente al creditore di sollecitare formalmente il pagamento di un debito, preparando il terreno per eventuali azioni esecutive in caso di inadempimento. Per il debitore, è fondamentale prestare attenzione a tale atto, valutando attentamente le opzioni disponibili per adempiere all’obbligazione o contestare la pretesa, se ritenuta infondata.

Riassumendo in sintesi:

  • L’intimazione di pagamento è un atto formale con cui il creditore richiede al debitore il pagamento di una somma entro un termine specifico.
  • Serve a costituire in mora il debitore e precede eventuali azioni legali per il recupero del credito.
  • Deve contenere dettagli come l’importo dovuto, la causale del debito e le modalità di pagamento.
  • La notifica può avvenire tramite consegna a mano o raccomandata con avviso di ricevimento.
  • In caso di mancato pagamento, il creditore può procedere con azioni esecutive come il pignoramento dei beni.
  • L’intimazione interrompe i termini di prescrizione del credito, facendo decorrere un nuovo periodo.
  • Il debitore ha la possibilità di contestare l’intimazione se ritiene che il debito non sia dovuto o se riscontra irregolarità.

Quando viene emessa un’intimazione di pagamento?

L’intimazione di pagamento viene emessa quando il debitore non ha saldato entro i termini previsti le somme indicate in cartelle esattoriali o avvisi di addebito già notificati. È un ultimo sollecito prima dell’avvio di azioni esecutive forzate.

Quali sono i termini per impugnare un’intimazione di pagamento?

L’intimazione di pagamento è un atto formale con cui l’Agenzia delle Entrate-Riscossione sollecita il contribuente a saldare debiti fiscali pendenti, generalmente derivanti da cartelle esattoriali o avvisi di addebito precedentemente notificati. Questo strumento è disciplinato dall’articolo 50 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, che prevede l’obbligo per l’agente della riscossione di notificare un’intimazione ad adempiere prima di procedere con l’esecuzione forzata, qualora sia trascorso più di un anno dalla notifica della cartella di pagamento senza che sia stata avviata alcuna azione esecutiva.

Ricevere un’intimazione di pagamento impone al contribuente di agire prontamente per evitare conseguenze più gravi, come il pignoramento dei beni. È fondamentale conoscere i termini entro i quali è possibile impugnare tale atto, poiché questi variano in base alla natura del credito sottostante e all’autorità giudiziaria competente.

Per i crediti di natura tributaria, come l’IRPEF o l’IVA, il contribuente ha 60 giorni dalla notifica dell’intimazione per presentare ricorso presso la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado competente per territorio. Questo termine è stabilito dall’articolo 21 del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, che disciplina il processo tributario. È importante rispettare scrupolosamente questo limite temporale per evitare la decadenza del diritto di impugnazione.

Nel caso di crediti previdenziali, ad esempio contributi dovuti all’INPS, i termini per l’impugnazione sono più brevi. Il contribuente deve presentare ricorso al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro entro 40 giorni dalla notifica dell’intimazione. Questo termine è previsto dall’articolo 24 del Decreto Legislativo n. 46 del 1999, che regola la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli enti pubblici.

Per quanto riguarda le sanzioni amministrative, come le multe per violazioni del Codice della Strada, il termine per impugnare l’intimazione di pagamento è di 30 giorni dalla notifica dell’atto. In questo caso, il ricorso deve essere presentato al Giudice di Pace competente per territorio, secondo quanto stabilito dall’articolo 7 del Decreto Legislativo n. 150 del 2011.

È cruciale identificare correttamente la natura del credito e l’autorità giudiziaria competente, poiché un errore in tal senso può compromettere l’efficacia del ricorso. Inoltre, è essenziale rispettare i termini perentori sopra indicati, poiché la loro inosservanza comporta la decadenza del diritto di impugnazione, rendendo definitiva la pretesa dell’ente creditore.

In situazioni in cui l’intimazione di pagamento si riferisce a più cartelle esattoriali di diversa natura, è necessario presentare distinti ricorsi davanti alle autorità competenti per ciascun tipo di credito, rispettando i relativi termini di impugnazione. Ad esempio, se un’intimazione comprende sia crediti tributari che previdenziali, il contribuente dovrà presentare un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per i primi e al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro per i secondi, ciascuno entro i rispettivi termini di 60 e 40 giorni.

È altresì importante considerare che l’intimazione di pagamento può essere impugnata non solo per vizi propri dell’atto, ma anche per contestare la legittimità degli atti presupposti, come la mancata notifica delle cartelle esattoriali o l’intervenuta prescrizione del credito. Tuttavia, tali eccezioni devono essere sollevate nel rispetto dei termini di impugnazione previsti per l’intimazione stessa.

In conclusione, la tempestività e la precisione nell’individuare la natura del credito, l’autorità giudiziaria competente e i termini di impugnazione sono elementi fondamentali per una corretta gestione dell’intimazione di pagamento. È consigliabile avvalersi dell’assistenza di un professionista qualificato per orientarsi adeguatamente in questo complesso ambito normativo e procedurale.

Riassumendo in sintesi:

  • Per crediti tributari, il termine per impugnare l’intimazione di pagamento è di 60 giorni dalla notifica, con ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado.
  • Per crediti previdenziali, il termine è di 40 giorni dalla notifica, con ricorso al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro.
  • Per sanzioni amministrative, il termine è di 30 giorni dalla notifica, con ricorso al Giudice di Pace.
  • In presenza di intimazioni relative a crediti di diversa natura, è necessario presentare distinti ricorsi alle autorità competenti, rispettando i rispettivi termini di impugnazione.
  • È fondamentale rispettare i termini perentori per evitare la decadenza del diritto di impugnazione e l’avvio di procedure esecutive da parte dell’ente creditore.

Quali sono i motivi validi per contestare un’intimazione di pagamento?

L’intimazione di pagamento è un atto formale con cui l’Agenzia delle Entrate-Riscossione sollecita il contribuente a saldare un debito entro un termine specifico, generalmente cinque giorni dalla notifica. Questo atto precede l’avvio di procedure esecutive come il pignoramento dei beni. Tuttavia, esistono motivi validi per contestare un’intimazione di pagamento, sia per vizi formali che sostanziali.

Un motivo frequente di contestazione riguarda la mancata notifica degli atti presupposti, come la cartella esattoriale o l’avviso di accertamento. Se il contribuente non ha mai ricevuto tali atti, l’intimazione di pagamento risulta priva di efficacia, poiché manca la base giuridica su cui si fonda la richiesta. In tali casi, è possibile eccepire l’inesistenza o la nullità dell’intimazione per difetto di notifica degli atti precedenti.

La prescrizione del credito rappresenta un altro motivo di opposizione. Ogni credito ha un termine di prescrizione oltre il quale non può più essere legalmente richiesto. Ad esempio, i crediti tributari si prescrivono generalmente in cinque anni. Se l’intimazione di pagamento viene notificata dopo il decorso del termine di prescrizione, senza che vi siano stati atti interruttivi, il contribuente può eccepire l’estinzione del debito per prescrizione.

Errori o vizi formali nell’intimazione di pagamento possono costituire validi motivi di contestazione. Questi includono la mancanza di elementi essenziali come l’indicazione del responsabile del procedimento, l’importo dettagliato del debito, la causale, o la firma del funzionario competente. La giurisprudenza ha più volte ribadito che tali omissioni rendono nullo l’atto, poiché violano il diritto del contribuente a una chiara e completa informazione.

L’avvenuto pagamento del debito è un ulteriore motivo di opposizione. Se il contribuente ha già saldato l’importo richiesto, ma riceve comunque un’intimazione di pagamento, può contestare l’atto presentando le prove del pagamento effettuato. In questo caso, l’intimazione risulta illegittima, poiché il debito non è più esistente.

La sospensione o annullamento degli atti presupposti costituisce un altro valido motivo di contestazione. Se, ad esempio, una cartella esattoriale è stata sospesa o annullata da un provvedimento amministrativo o giudiziario, l’intimazione di pagamento basata su tale atto è priva di efficacia. Il contribuente può eccepire l’illegittimità dell’intimazione, allegando il provvedimento di sospensione o annullamento.

Infine, l’errata identificazione del debitore o la notifica a soggetti non legittimati rappresentano motivi di nullità dell’intimazione di pagamento. Se l’atto è indirizzato a una persona diversa dal reale debitore, o se viene notificato a un soggetto privo di legittimazione, l’intimazione è nulla. In tali circostanze, il destinatario può opporsi, dimostrando l’errore di identificazione.

È fondamentale che il contribuente, alla ricezione di un’intimazione di pagamento, esamini attentamente l’atto e verifichi la presenza di eventuali vizi o irregolarità. In caso di dubbi, è consigliabile consultare un professionista esperto in materia fiscale o legale, per valutare la possibilità di presentare un’opposizione e tutelare i propri diritti.

Riassumendo in sintesi:

  • Mancata notifica degli atti presupposti: se il contribuente non ha ricevuto cartelle esattoriali o avvisi di accertamento su cui si basa l’intimazione.
  • Prescrizione del credito: se è trascorso il termine legale oltre il quale il credito non può più essere richiesto.
  • Errori o vizi formali: omissione di elementi essenziali nell’intimazione, come l’indicazione del responsabile del procedimento o la firma del funzionario competente.
  • Avvenuto pagamento del debito: se il contribuente ha già saldato l’importo richiesto.
  • Sospensione o annullamento degli atti presupposti: se la cartella esattoriale o l’avviso di accertamento sono stati sospesi o annullati.
  • Errata identificazione del debitore: se l’intimazione è indirizzata a una persona diversa dal reale debitore o notificata a un soggetto non legittimato.

Come si presenta un ricorso contro un’intimazione di pagamento?

Ricevere un’intimazione di pagamento dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione rappresenta un momento cruciale per il contribuente, poiché prelude a possibili azioni esecutive come il pignoramento. È quindi essenziale comprendere come presentare un ricorso efficace contro tale atto, rispettando le procedure e i termini previsti dalla legge.

Innanzitutto, è fondamentale identificare la natura del credito contestato, poiché da essa dipendono sia l’autorità giudiziaria competente sia i termini per l’impugnazione. Per i crediti tributari, come imposte sul reddito o IVA, il ricorso deve essere presentato alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado entro 60 giorni dalla notifica dell’intimazione. Per i crediti previdenziali, ad esempio contributi INPS, il termine è di 40 giorni e la competenza spetta al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro. Per le sanzioni amministrative, come le multe stradali, il ricorso va proposto al Giudice di Pace entro 30 giorni dalla notifica.

Una volta determinati l’autorità competente e il termine di impugnazione, è necessario redigere l’atto di ricorso. Questo documento deve contenere:

  • Dati anagrafici del ricorrente: nome, cognome, codice fiscale, residenza e, se presente, domicilio eletto per le comunicazioni relative al procedimento.
  • Indicazione dell’atto impugnato: estremi dell’intimazione di pagamento, inclusi numero, data di notifica e importo richiesto.
  • Motivi del ricorso: esposizione dettagliata delle ragioni per cui si contesta l’intimazione, come la mancata notifica degli atti presupposti, la prescrizione del credito, errori materiali o vizi formali dell’atto.
  • Conclusioni: specifica delle richieste rivolte al giudice, come l’annullamento totale o parziale dell’intimazione e la sospensione dell’esecuzione.

È consigliabile allegare al ricorso tutta la documentazione pertinente, come copie delle cartelle esattoriali, eventuali ricevute di pagamento, comunicazioni precedenti con l’ente creditore e qualsiasi altro documento utile a supportare le proprie argomentazioni.

Il ricorso deve essere notificato alle controparti, ossia all’Agenzia delle Entrate-Riscossione e all’ente impositore originario (ad esempio, l’INPS per i contributi previdenziali o il Comune per le sanzioni amministrative). La notifica può avvenire tramite ufficiale giudiziario, servizio postale con raccomandata A/R o, se disponibile, tramite posta elettronica certificata (PEC). È fondamentale rispettare le modalità di notifica previste dalla legge per garantire la validità del ricorso.

Successivamente, il ricorso, unitamente alla prova dell’avvenuta notifica alle controparti, deve essere depositato presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria competente entro i termini stabiliti. Al momento del deposito, potrebbero essere richiesti il pagamento di contributi unificati o altre spese di cancelleria; è quindi opportuno informarsi preventivamente sugli importi dovuti e sulle modalità di pagamento.

In situazioni particolarmente complesse o quando si ritiene che l’intimazione sia affetta da vizi sostanziali, è altamente consigliabile avvalersi dell’assistenza di un avvocato specializzato in diritto tributario o amministrativo. Un professionista esperto può garantire che il ricorso sia redatto correttamente, che vengano rispettati tutti i termini procedurali e che le argomentazioni siano presentate in modo efficace.

È importante sottolineare che la presentazione del ricorso non sospende automaticamente l’esecuzione dell’intimazione di pagamento. Pertanto, se si ritiene che l’esecuzione imminente possa causare danni irreparabili, è possibile richiedere al giudice la sospensione cautelare dell’atto impugnato. Tale richiesta deve essere motivata e supportata da elementi che dimostrino il pericolo di un pregiudizio grave e irreparabile in caso di esecuzione.

In conclusione, la presentazione di un ricorso contro un’intimazione di pagamento richiede una conoscenza approfondita delle procedure legali e il rispetto rigoroso dei termini previsti. Un approccio tempestivo e accurato è essenziale per tutelare efficacemente i propri diritti e prevenire conseguenze negative derivanti da azioni esecutive.

Riassumendo in sintesi:

  • Identificare la natura del credito: determina l’autorità competente e i termini per l’impugnazione.
  • Redigere l’atto di ricorso: includere dati del ricorrente, dettagli dell’intimazione, motivi della contestazione e conclusioni.
  • Allegare documentazione pertinente: supportare le argomentazioni con prove concrete.
  • Notificare il ricorso alle controparti: seguire le modalità legali di notifica per garantire la validità dell’atto.
  • Depositare il ricorso presso l’autorità competente: rispettare i termini e le procedure di deposito, inclusi eventuali pagamenti di contributi.
  • Considerare l’assistenza legale: un avvocato specializzato può offrire supporto prezioso nella gestione del ricorso.
  • Richiedere la sospensione cautelare se necessario: in presenza di rischi di danni irreparabili, è possibile chiedere al giudice la sospensione dell’esecuzione.

Cosa succede se non si impugna un’intimazione di pagamento?

Se non si impugna l’intimazione entro i termini previsti, l’ente creditore può procedere con azioni esecutive come il pignoramento di beni mobili, immobili o crediti (ad esempio, stipendi o conti correnti). Inoltre, il debito potrebbe aumentare a causa di interessi e spese aggiuntive.

È possibile contestare un’intimazione di pagamento per prescrizione del credito?

Sì, se il credito è prescritto, è possibile contestare l’intimazione. La prescrizione varia in base alla natura del credito:

  • Crediti tributari: Generalmente 10 anni, ma può variare in base al tipo di imposta.
  • Contributi previdenziali: 5 anni.
  • Sanzioni amministrative: 5 anni.

Se l’ente creditore non ha compiuto atti interruttivi della prescrizione entro questi termini, il credito si considera estinto.

Qual è il giudice competente per il ricorso contro un’intimazione di pagamento?

La competenza varia in base alla natura del credito:

  • Crediti tributari: Corte di Giustizia Tributaria di primo grado.
  • Contributi previdenziali: Giudice del Lavoro.
  • Sanzioni amministrative: Giudice di Pace o Tribunale Ordinario, a seconda dell’importo e della materia.

Identificare correttamente il giudice competente è fondamentale per la validità del ricorso.

Conclusioni e Come Possiamo Aiutarti In Studio Monardo, Gli Avvocati Specializzati In Cancellazione Debiti Con Il Fisco

Affrontare debiti con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione rappresenta una sfida complessa che richiede una gestione accurata e consapevole. Le conseguenze di un mancato pagamento possono essere severe, includendo sanzioni, interessi di mora e l’avvio di procedure esecutive come pignoramenti o ipoteche sui beni del debitore. In questo contesto, avere al proprio fianco un avvocato esperto nella cancellazione dei debiti con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione è di fondamentale importanza.

Un professionista specializzato offre una guida esperta attraverso le intricate normative fiscali e le procedure di riscossione. La legislazione tributaria italiana è notoriamente complessa e soggetta a frequenti modifiche. Un avvocato aggiornato sulle ultime disposizioni può analizzare la situazione debitoria specifica, identificare eventuali irregolarità negli atti notificati e determinare le strategie più efficaci per la risoluzione del debito.

Una delle prime azioni che un avvocato può intraprendere è la verifica della legittimità delle cartelle esattoriali emesse. Questo processo include l’esame della corretta notifica degli atti, la verifica della prescrizione dei crediti e l’identificazione di eventuali errori materiali o vizi formali che potrebbero rendere nulla la pretesa dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Ad esempio, se una cartella esattoriale è stata notificata oltre i termini di prescrizione o contiene errori sostanziali, un avvocato può presentare un’istanza di annullamento in autotutela o proporre ricorso nelle sedi competenti.

Inoltre, un avvocato esperto può assistere nella negoziazione di piani di rateizzazione del debito. La rateizzazione consente di suddividere l’importo dovuto in pagamenti più gestibili, evitando l’immediata esecuzione forzata. Un professionista può valutare la situazione finanziaria del debitore, predisporre la documentazione necessaria e interfacciarsi con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione per ottenere condizioni di pagamento sostenibili. Questo approccio non solo facilita il rispetto degli obblighi fiscali, ma previene anche l’aggravarsi della posizione debitoria.

In situazioni di grave difficoltà economica, un avvocato può esplorare soluzioni come il saldo e stralcio o le procedure di sovraindebitamento. Il saldo e stralcio permette di estinguere il debito pagando una percentuale ridotta dell’importo dovuto, mentre le procedure di sovraindebitamento offrono la possibilità di ristrutturare i debiti in base alla reale capacità economica del debitore. Queste opzioni richiedono una conoscenza approfondita delle normative vigenti e una gestione accurata delle procedure legali, competenze che un avvocato specializzato può garantire.

Un altro aspetto cruciale è la protezione del patrimonio del debitore. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha il potere di adottare misure cautelari ed esecutive, come il fermo amministrativo dei veicoli, l’iscrizione di ipoteca sugli immobili e il pignoramento di conti correnti o stipendi. Un avvocato può intervenire tempestivamente per contestare tali azioni, presentando opposizioni o istanze di sospensione, e negoziando soluzioni che evitino la dispersione del patrimonio del debitore.

Inoltre, un avvocato esperto può fornire consulenza preventiva, aiutando a comprendere le implicazioni fiscali di determinate scelte e a pianificare una gestione finanziaria che eviti l’insorgere di debiti con l’erario. Questo approccio proattivo è fondamentale per mantenere una posizione fiscale regolare e prevenire future problematiche con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione.

La complessità delle normative fiscali e delle procedure di riscossione rende indispensabile il supporto di un avvocato esperto nella cancellazione dei debiti con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Affrontare una cartella esattoriale senza tale supporto può esporre il contribuente a rischi significativi, tra cui l’adozione di misure esecutive, l’aumento del debito e la perdita di opportunità di difesa. Un avvocato specializzato offre una bussola in un mare di codici, regolamenti e procedure che spesso sono in continua evoluzione. Questi professionisti sono aggiornati non solo sulle leggi correnti, ma anche sulle frequenti modifiche legislative e sulle interpretazioni giurisprudenziali che possono influenzare direttamente il caso di un debitore. Essere ben informati su questi cambiamenti è cruciale, poiché possono aprire nuove vie per la negoziazione o la risoluzione dei debiti.

In conclusione, avere al proprio fianco un avvocato esperto nella cancellazione dei debiti con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione è essenziale per tutelare i propri diritti e affrontare efficacemente le problematiche fiscali. Un professionista qualificato può fornire assistenza personalizzata, garantire il rispetto delle procedure legali e negoziare soluzioni vantaggiose, contribuendo a ristabilire la serenità finanziaria del debitore. Non sottovalutare l’importanza di questo supporto legale qualificato; la tua tranquillità e sicurezza finanziaria dipendono da esso.

In tal senso, l’avvocato Monardo, coordina avvocati e commercialisti esperti a livello nazionale nell’ambito del diritto bancario e tributario, è gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012), è iscritto presso gli elenchi del Ministero della Giustizia e figura tra i professionisti fiduciari di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi).

Ha conseguito poi l’abilitazione professionale di Esperto Negoziatore della Crisi di Impresa (D.L. 118/2021).

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