Il pignoramento in busta paga è una procedura legale che consente ai creditori di recuperare i debiti insoluti trattenendo una parte del reddito mensile del debitore. Questa trattenuta, che può arrivare fino a un quinto dello stipendio netto, è una forma di esecuzione forzata regolamentata dal Codice di Procedura Civile italiano, in particolare dall’art. 545. Il debitore si trova quindi a fronteggiare una riduzione del proprio salario, che può causare difficoltà economiche significative. Tuttavia, esistono diverse strade per cercare di rimuovere o alleviare questo pignoramento, attraverso azioni legali o accordi extragiudiziali.
La prima opzione è rappresentata dall’opposizione al pignoramento, una misura difensiva che può essere adottata quando il debitore ritiene che la procedura esecutiva non sia stata condotta in modo corretto. Questa opposizione è regolata dall’art. 615 del Codice di Procedura Civile e può essere presentata in due momenti: prima che il pignoramento sia avviato o dopo l’inizio della procedura. Se il debitore contesta la validità del titolo esecutivo o ritiene che il debito sia già stato estinto, può chiedere la sospensione o l’annullamento del pignoramento. Ad esempio, se il debito risulta prescritto o se ci sono errori formali nella notifica degli atti, il giudice potrebbe decidere di sospendere la procedura, permettendo così al debitore di mantenere l’intero stipendio.
Un’altra possibilità per liberarsi dal pignoramento è quella di avviare un’azione di negoziazione con il creditore. In molti casi, i creditori preferiscono ricevere una somma forfettaria in tempi brevi piuttosto che aspettare la fine del pignoramento, che può protrarsi per anni. In questa prospettiva, il debitore può proporre un saldo e stralcio, una soluzione che prevede il pagamento di una somma ridotta rispetto al debito totale in cambio della chiusura definitiva della questione. Questa strategia può risultare particolarmente efficace se il debitore ha la possibilità di ottenere una somma di denaro attraverso prestiti da familiari o amici, o se dispone di altre risorse liquide.
In alternativa, il debitore può richiedere al tribunale una riduzione della quota pignorata. La legge prevede che in situazioni di difficoltà economica, il giudice possa ridurre l’importo pignorato, sempre che sia dimostrato che la trattenuta di un quinto dello stipendio renda impossibile far fronte alle esigenze di vita fondamentali del debitore e della sua famiglia. Questo è un passaggio particolarmente delicato, poiché richiede una documentazione precisa e dettagliata delle condizioni economiche del debitore. L’art. 545 del Codice di Procedura Civile garantisce comunque una soglia minima di protezione per il debitore, impedendo che venga pignorato un reddito inferiore al minimo vitale, calcolato sul triplo dell’assegno sociale, che nel 2024 è fissato a circa 1.603,23 euro. In alcuni casi, il giudice può decidere di abbassare la percentuale pignorata per garantire che il debitore mantenga una somma sufficiente per il proprio sostentamento.
Un’altra strada percorribile per cercare di eliminare il pignoramento in busta paga è quella di accedere alle procedure di sovraindebitamento, regolate dalla legge n. 3/2012, che consentono di ristrutturare i debiti in modo più sostenibile per il debitore. Queste procedure includono il piano del consumatore e la liquidazione controllata del patrimonio. Il piano del consumatore permette al debitore di proporre un piano di rientro del debito basato sulle sue effettive capacità economiche, senza dover ottenere l’accordo dei creditori. Se approvato dal giudice, questo piano può comportare la sospensione o l’annullamento del pignoramento, poiché l’intero debito viene ristrutturato in modo da essere compatibile con la situazione economica del debitore. La liquidazione controllata del patrimonio, invece, consente al debitore di liquidare i propri beni non essenziali per soddisfare i creditori, fermando così il pignoramento dello stipendio.
Inoltre, se il debitore si trova in una situazione di difficoltà economica cronica, può tentare di ottenere l’esdebitazione, ovvero la liberazione totale dai debiti residui. Questo strumento, introdotto dalla legge n. 3/2012, consente ai soggetti che non sono in grado di pagare i propri debiti di ottenere una cancellazione del debito residuo dopo aver ceduto ai creditori tutti i beni disponibili. Anche in questo caso, il pignoramento in busta paga viene interrotto poiché il debitore viene considerato incapace di far fronte ai suoi obblighi.
Un’ulteriore strategia può essere quella di richiedere al giudice la sospensione temporanea del pignoramento in caso di circostanze eccezionali. Se il debitore dimostra che il pignoramento gli sta causando danni gravi e irreparabili, come l’impossibilità di mantenere la propria famiglia o di far fronte a cure mediche essenziali, il giudice può decidere di sospendere la procedura fino a quando la situazione non si stabilizza.
È evidente che affrontare un pignoramento in busta paga richiede una conoscenza approfondita delle leggi e delle procedure che regolano l’esecuzione forzata. Per questo motivo, è altamente consigliabile avvalersi della consulenza di un avvocato esperto in cancellazione debiti, che può valutare la situazione del debitore e proporre la strategia più efficace per eliminare o ridurre l’impatto del pignoramento. Un professionista del settore può assistere il debitore nella negoziazione con i creditori, nella presentazione delle opposizioni e nel ricorso alle procedure di sovraindebitamento, garantendo che i diritti del debitore vengano tutelati in ogni fase del processo.
Ma andiamo nei dettagli con domande e risposte.
Come funziona il pignoramento in busta paga?
Il pignoramento in busta paga è una procedura legale attraverso la quale un creditore, dopo aver ottenuto un titolo esecutivo, può chiedere che una parte dello stipendio del debitore venga trattenuta direttamente dal datore di lavoro e versata al creditore. Il titolo esecutivo può essere una sentenza di condanna, un decreto ingiuntivo o altri atti giuridici che certificano un debito non saldato. L’obiettivo di questa misura è garantire che il creditore ottenga il pagamento del debito anche quando il debitore non provvede volontariamente.
La normativa che regola il pignoramento in busta paga si trova principalmente nell’art. 545 del Codice di Procedura Civile, che stabilisce i limiti e le modalità di trattenuta sullo stipendio del debitore. La legge prevede che il pignoramento dello stipendio possa avvenire solo su una parte del reddito netto mensile del debitore, in modo da non compromettere eccessivamente la sua capacità di mantenersi. Il limite massimo pignorabile è generalmente pari a un quinto (20%) dello stipendio netto, anche se vi sono eccezioni per i debiti alimentari o per crediti verso lo Stato, che possono comportare trattenute maggiori.
Una volta che il creditore ottiene un titolo esecutivo, la procedura inizia con la notifica dell’atto di precetto al debitore, attraverso il quale si intima il pagamento del debito entro un termine solitamente pari a dieci giorni. Se il debitore non adempie entro questo termine, il creditore può procedere con la richiesta di pignoramento presso terzi, nel caso specifico il datore di lavoro del debitore. Il datore di lavoro, una volta ricevuta la notifica, è obbligato per legge a trattenere la parte dello stipendio pignorabile e a versarla mensilmente al creditore fino all’estinzione del debito o fino al raggiungimento dell’importo richiesto.
Il calcolo della quota pignorabile avviene sul reddito netto del debitore, che è lo stipendio al netto delle imposte e dei contributi previdenziali. Se, ad esempio, un debitore percepisce uno stipendio netto di 2.000 euro, il massimo che potrà essere trattenuto è pari a 400 euro al mese (ovvero il 20%). Questo limite vale per i debiti ordinari come prestiti o finanziamenti non pagati, ma può essere diverso per altri tipi di debiti. Per i debiti fiscali verso lo Stato, come le cartelle esattoriali, la legge prevede percentuali variabili a seconda dell’ammontare dello stipendio: fino a un decimo per redditi inferiori a 2.500 euro, fino a un settimo per stipendi tra i 2.500 e i 5.000 euro, e fino a un quinto per redditi superiori ai 5.000 euro.
Nel caso di debiti alimentari, come il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento per figli o ex coniugi, la legge permette di pignorare una quota maggiore dello stipendio, che può arrivare fino al 50% del reddito netto mensile. Questa eccezione si basa sul principio che gli alimenti hanno una priorità assoluta e devono essere garantiti, anche a scapito di altri creditori.
La procedura di pignoramento dello stipendio può proseguire fino all’estinzione completa del debito, e il debitore ha poche possibilità di evitare la trattenuta, a meno che non riesca a raggiungere un accordo con il creditore, come un saldo e stralcio (un accordo che prevede il pagamento di una somma inferiore a quella dovuta in cambio della chiusura definitiva del debito). Altrimenti, il pignoramento continuerà finché il debito non sarà interamente pagato.
Esistono comunque alcuni limiti alla pignorabilità del reddito per garantire che il debitore mantenga una somma sufficiente per le necessità di vita. In particolare, la legge prevede che non possa essere pignorato lo stipendio al di sotto del minimo vitale, una soglia che è stata calcolata, per il 2024, intorno a 1.603,23 euro, basata sul triplo dell’assegno sociale. Ciò significa che, se lo stipendio netto del debitore è inferiore a questa cifra, il pignoramento potrebbe essere ridotto o addirittura escluso.
Nel caso in cui il debitore cambi lavoro, il pignoramento si interrompe temporaneamente, ma il creditore può riattivarlo non appena viene notificato il nuovo datore di lavoro. Anche in questa circostanza, il nuovo datore sarà tenuto a trattenere la parte pignorabile dello stipendio del debitore e a versarla al creditore. Se il debitore dovesse perdere il lavoro e non percepire più alcun reddito, il pignoramento si sospende fino a quando non viene ripristinata una fonte di reddito regolare.
È importante sottolineare che il debitore ha il diritto di opporsi al pignoramento in determinati casi, come quando ritiene che il debito sia prescritto o che vi siano stati errori procedurali nella notifica del pignoramento. L’opposizione, regolata dall’art. 615 del Codice di Procedura Civile, può portare alla sospensione temporanea del pignoramento se il giudice ritiene che ci siano motivi fondati per contestare il debito o la procedura.
In conclusione, il pignoramento dello stipendio è una procedura efficace per i creditori, ma è anche soggetta a limiti rigorosi per garantire che il debitore mantenga una parte sufficiente del proprio reddito per vivere dignitosamente. Il debitore può difendersi attraverso vari strumenti legali, come l’opposizione o la negoziazione con il creditore, ma è fondamentale agire tempestivamente e con il supporto di un avvocato esperto per garantire la protezione dei propri diritti.
Riassunto per punti:
- Inizio della procedura: il pignoramento in busta paga inizia con la notifica dell’atto di precetto e successivamente con l’ordine al datore di lavoro di trattenere una parte dello stipendio del debitore.
- Quota pignorabile: massimo un quinto dello stipendio netto, ma per debiti alimentari si può arrivare fino al 50%.
- Minimo vitale: lo stipendio al di sotto di 1.603,23 euro (nel 2024) non può essere pignorato.
- Durata: il pignoramento prosegue fino all’estinzione del debito o alla stipula di un accordo con il creditore.
- Eccezioni: esistono beni e redditi impignorabili, come il minimo vitale e i sussidi di assistenza sociale.
- Difesa del debitore: il debitore può opporsi al pignoramento in caso di errori procedurali o se il debito è prescritto.
Come si può contestare il pignoramento?
Il pignoramento può essere contestato attraverso specifiche procedure legali, che variano a seconda della natura del vizio o dell’irregolarità che si intende denunciare. Le modalità principali per contestare un pignoramento si basano sull’opposizione all’esecuzione e sull’opposizione agli atti esecutivi, entrambe previste dal Codice di Procedura Civile. La contestazione del pignoramento può essere motivata da diverse ragioni, tra cui la prescrizione del debito, l’errore procedurale, la violazione dei limiti legali per il pignoramento, o la presenza di beni impignorabili.
Una delle principali modalità di contestazione è l’opposizione all’esecuzione, regolata dall’art. 615 del Codice di Procedura Civile. Questo tipo di opposizione può essere presentata quando il debitore ritiene che il creditore non abbia diritto a procedere con l’esecuzione forzata. Ad esempio, il debitore può sostenere che il debito sia stato già estinto, che non sussista più alcun obbligo di pagamento o che il debito sia prescritto. L’opposizione può essere proposta sia prima che dopo l’inizio della procedura esecutiva, ma la differenza sostanziale risiede nelle conseguenze processuali: se l’opposizione è proposta prima del pignoramento, l’esecuzione non può iniziare; se viene presentata dopo, il giudice può decidere di sospendere la procedura in attesa di una decisione.
Un’altra forma di contestazione è l’opposizione agli atti esecutivi, regolata dall’art. 617 del Codice di Procedura Civile. Questo tipo di opposizione è utilizzato quando il debitore vuole contestare la validità formale degli atti esecutivi compiuti dal creditore o dall’ufficiale giudiziario. Tra gli esempi comuni di irregolarità formali ci sono errori nella notifica dell’atto di precetto o del pignoramento, oppure il mancato rispetto dei termini di legge. In questi casi, il debitore ha 20 giorni di tempo dalla notifica dell’atto contestato per proporre opposizione, chiedendo al giudice di annullare o rettificare l’atto esecutivo viziato.
Uno degli strumenti più potenti di difesa è la presenza di beni impignorabili. Alcuni beni e redditi non possono essere aggrediti dai creditori per legge, come stabilito dall’art. 514 del Codice di Procedura Civile. Tra questi beni ci sono quelli indispensabili per la vita quotidiana del debitore e della sua famiglia, come i vestiti, i mobili essenziali, gli strumenti di lavoro e le somme necessarie al mantenimento minimo vitale. Il debitore può chiedere la revoca del pignoramento se ritiene che siano stati aggrediti beni impignorabili. Questo può avvenire attraverso un’istanza al giudice dell’esecuzione, che valuterà se effettivamente i beni pignorati rientrano tra quelli che non possono essere oggetto di esecuzione.
La prescrizione del debito è un altro motivo comune per contestare il pignoramento. Ogni tipo di debito ha un termine di prescrizione, cioè un periodo di tempo oltre il quale il credito non può più essere legalmente reclamato. Ad esempio, i debiti contratti tramite prestiti personali si prescrivono in 10 anni, mentre i debiti fiscali possono avere termini di prescrizione differenti, a seconda del tipo di imposta. Se il debitore ritiene che il debito sia prescritto, può fare opposizione all’esecuzione, chiedendo al giudice di accertare la prescrizione e bloccare la procedura.
In alcuni casi, il pignoramento può essere sospeso temporaneamente se il debitore dimostra che esso gli sta causando gravi danni economici o che vi sono irregolarità evidenti nella procedura. La sospensione può essere richiesta come misura cautelare, soprattutto quando vi è un’opposizione in corso e il giudice deve ancora emettere una sentenza definitiva. La sospensione serve a evitare che i beni del debitore vengano venduti o che ulteriori trattenute sullo stipendio compromettano la sua capacità di mantenersi.
Infine, è possibile cercare di negoziare direttamente con il creditore. In alcuni casi, il debitore e il creditore possono raggiungere un accordo, ad esempio tramite il saldo e stralcio, che prevede il pagamento di una somma inferiore rispetto al debito totale in cambio della chiusura definitiva della procedura. Questa soluzione può essere vantaggiosa per entrambe le parti: il debitore evita il pignoramento e il creditore riceve una liquidità immediata.
In conclusione, contestare un pignoramento è un processo che richiede una profonda conoscenza delle norme giuridiche e delle procedure esecutive. Il debitore deve agire tempestivamente, presentando le sue opposizioni entro i termini previsti dalla legge e raccogliendo tutte le prove necessarie per dimostrare la fondatezza delle proprie contestazioni. È consigliabile avvalersi della consulenza di un avvocato esperto, che possa guidare il debitore attraverso le varie fasi della contestazione e garantirgli la migliore tutela possibile dei suoi diritti.
Riassunto per punti:
- Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): contestare la validità del debito o del titolo esecutivo; può essere presentata prima o dopo l’inizio del pignoramento.
- Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): contestare irregolarità formali negli atti esecutivi, come errori di notifica; il termine è di 20 giorni dalla notifica dell’atto.
- Beni impignorabili (art. 514 c.p.c.): il debitore può chiedere la revoca del pignoramento se coinvolge beni protetti dalla legge, come strumenti di lavoro o somme destinate al minimo vitale.
- Prescrizione del debito: il debitore può opporsi se il debito è prescritto, chiedendo l’estinzione della procedura.
- Sospensione temporanea del pignoramento: può essere richiesta in caso di gravi difficoltà economiche o irregolarità nella procedura.
- Negoziazione con il creditore: cercare un accordo stragiudiziale, come il saldo e stralcio, per evitare il pignoramento e chiudere il debito.
Quali beni o redditi sono impignorabili?
Il Codice di Procedura Civile italiano stabilisce chiaramente quali beni o redditi del debitore sono impignorabili, ovvero beni e somme di denaro che non possono essere aggrediti dai creditori nell’ambito di una procedura di esecuzione forzata. La legge intende garantire che il debitore, pur essendo obbligato a pagare i propri debiti, mantenga comunque un livello di vita dignitoso e abbia a disposizione i mezzi necessari per il sostentamento della propria famiglia. Le disposizioni principali riguardo i beni impignorabili si trovano negli articoli 514 e 545 del Codice di Procedura Civile.
Innanzitutto, l’art. 514 c.p.c. stabilisce una lista di beni mobili impignorabili, che includono gli oggetti essenziali per la vita quotidiana. Tra questi troviamo i vestiti, i mobili indispensabili (come letti, sedie, tavoli), gli elettrodomestici di base come frigoriferi o cucine, nonché il cibo sufficiente per un mese. Anche i beni necessari per l’esercizio della professione del debitore, come strumenti di lavoro o attrezzature, sono generalmente protetti dalla pignorabilità, a meno che il debito non sia stato contratto proprio per l’acquisto di tali beni. Questo tipo di tutela garantisce che il debitore possa continuare a lavorare e a produrre reddito, evitando così una paralisi economica.
Un altro aspetto importante riguarda i redditi. L’art. 545 del Codice di Procedura Civile disciplina la pignorabilità dei salari e delle pensioni, stabilendo che il pignoramento dello stipendio o della pensione non può superare, di norma, un quinto dell’importo netto mensile. Tuttavia, ci sono somme che non possono essere pignorate in nessuna circostanza. Ad esempio, le pensioni sociali, gli assegni di invalidità, e tutti gli importi erogati a titolo di assistenza sociale sono considerati impignorabili. Questi redditi sono destinati a garantire un livello minimo di sussistenza e, quindi, non possono essere aggrediti dai creditori. Inoltre, la legge prevede una protezione specifica per lo stipendio, stabilendo che una parte di esso deve essere sempre preservata per il debitore, al fine di permettergli di affrontare le necessità quotidiane. Tale soglia, chiamata minimo vitale, nel 2024 è stata fissata intorno ai 1.603,23 euro, basata sul triplo dell’assegno sociale.
Le somme versate a titolo di mantenimento per il coniuge o i figli, sia che derivino da sentenze di separazione o di divorzio, sono anch’esse impignorabili. La ragione di questa protezione è che tali somme sono destinate a garantire il benessere dei membri della famiglia che potrebbero trovarsi in condizioni di necessità.
Anche i beni di natura sacra o destinati all’esercizio della religione, come oggetti utilizzati nei riti religiosi, non possono essere pignorati. Si tratta di una tutela che riconosce la particolare funzione di questi beni all’interno della comunità religiosa e della pratica di culto.
Infine, vi sono alcuni limiti alla pignorabilità di beni come i veicoli o le abitazioni. Sebbene un’automobile o una casa possano essere pignorate in circostanze normali, se l’abitazione costituisce la prima e unica casa del debitore, alcune giurisdizioni possono applicare delle restrizioni o limitazioni, specialmente se la casa è considerata essenziale per il sostentamento del debitore e della sua famiglia.
In conclusione, il sistema legale italiano riconosce l’importanza di proteggere alcuni beni e redditi essenziali del debitore, garantendo che, nonostante l’obbligo di saldare i debiti, il debitore mantenga comunque un livello di vita dignitoso. Queste tutele variano in base alla natura del bene o del reddito, ma si fondano sempre sul principio che la dignità umana e la capacità del debitore di sopravvivere non debbano essere compromesse dall’esecuzione forzata.
Riassunto per punti:
- Beni mobili impignorabili (art. 514 c.p.c.): vestiti, mobili essenziali, elettrodomestici di base, cibo per un mese, e strumenti di lavoro indispensabili.
- Redditi impignorabili (art. 545 c.p.c.): pensioni sociali, assegni di invalidità, sussidi di assistenza sociale, e la parte dello stipendio che corrisponde al minimo vitale (1.603,23 euro nel 2024).
- Somme per il mantenimento del coniuge o dei figli: completamente impignorabili poiché destinate al benessere familiare.
- Beni religiosi: oggetti sacri e destinati al culto non possono essere pignorati.
- Protezione per la prima casa: alcune restrizioni possono essere applicate se l’abitazione è considerata indispensabile per il sostentamento del debitore e della sua famiglia.
È possibile ridurre la quota pignorata?
La possibilità di ridurre la quota pignorata dello stipendio è un tema delicato, ma esistono diverse circostanze in cui il debitore può richiedere una riduzione dell’importo trattenuto. La legge italiana stabilisce che, in generale, la somma pignorabile dello stipendio non può superare un quinto (20%) del reddito netto mensile, come previsto dall’art. 545 del Codice di Procedura Civile. Tuttavia, questo limite può essere soggetto a modifiche in particolari situazioni, soprattutto quando il debitore dimostra di essere in condizioni economiche particolarmente difficili o se ci sono più pignoramenti in corso.
Il primo caso in cui è possibile chiedere la riduzione della quota pignorata riguarda le situazioni di grave difficoltà economica. Se il debitore dimostra al giudice che la trattenuta di un quinto del suo stipendio rende impossibile far fronte alle spese quotidiane per il mantenimento suo e della sua famiglia, può chiedere la riduzione della percentuale pignorata. In questo caso, è fondamentale presentare una documentazione accurata che attesti le spese necessarie per il sostentamento (come bollette, affitto, alimenti, e altre spese di prima necessità) e che giustifichi l’impossibilità di far fronte al pignoramento nelle modalità previste dalla legge. Il giudice può valutare queste condizioni e, se ritiene che siano fondate, decidere di ridurre la quota pignorata o, in alcuni casi, di sospendere temporaneamente il pignoramento.
Una riduzione della quota pignorata può essere concessa anche quando vi sono pignoramenti multipli in corso. Secondo l’art. 545 c.p.c., se sullo stipendio del debitore sono presenti più trattenute (come, ad esempio, una cessione del quinto già in corso e un pignoramento), la somma complessiva pignorata non può superare il 50% del reddito netto mensile. Se il debitore è già soggetto a trattenute consistenti, può richiedere una riduzione ulteriore, dimostrando che il cumulo delle trattenute rende insostenibile il mantenimento delle spese quotidiane.
La riduzione della quota pignorata può essere richiesta anche nel caso di debiti alimentari, che hanno un trattamento particolare. In genere, il pignoramento per debiti alimentari può arrivare fino al 50% dello stipendio netto. Tuttavia, anche in questi casi, se il debitore dimostra che la trattenuta sta compromettendo gravemente la sua capacità di provvedere alle proprie esigenze di vita, il giudice può decidere di ridurre l’importo pignorato, bilanciando le esigenze del debitore con quelle del creditore.
Infine, vi è la possibilità di ricorrere alle procedure di sovraindebitamento previste dalla legge n. 3/2012, che permettono di ristrutturare i debiti in base alle effettive capacità economiche del debitore. In questi casi, il debitore può proporre un piano del consumatore o accedere alla liquidazione controllata del patrimonio, entrambi strumenti che possono comportare la sospensione del pignoramento o una significativa riduzione delle somme pignorate. La procedura richiede l’approvazione di un giudice, il quale valuterà se il piano di pagamento proposto è sostenibile per il debitore e accettabile per i creditori.
Riassunto per punti:
- Grave difficoltà economica: Il debitore può chiedere la riduzione della quota pignorata dimostrando che la trattenuta compromette il mantenimento delle sue necessità di vita.
- Pignoramenti multipli: Se ci sono più pignoramenti in corso, la somma complessiva trattenuta non può superare il 50% dello stipendio netto, e il debitore può chiedere ulteriori riduzioni.
- Debiti alimentari: Il pignoramento può arrivare fino al 50% dello stipendio, ma il giudice può ridurre l’importo in base alla situazione economica del debitore.
- Sovraindebitamento: Le procedure previste dalla legge n. 3/2012 consentono la ristrutturazione dei debiti e possono ridurre o sospendere le trattenute sullo stipendio.
Cosa si può negoziare un accordo con il creditore?
Negoziare un accordo con il creditore è una delle soluzioni più efficaci per risolvere una situazione di debito senza dover necessariamente passare attraverso la procedura esecutiva o il pignoramento. Questa negoziazione si basa su un’intesa tra il debitore e il creditore che consente di chiudere il debito mediante il pagamento di una somma inferiore rispetto a quanto originariamente dovuto, o attraverso un piano di rientro rateizzato più favorevole. Due delle forme principali di accordo tra debitore e creditore sono il saldo e stralcio e la rateizzazione del debito.
Il saldo e stralcio è una soluzione che prevede il pagamento di una somma ridotta rispetto all’importo totale del debito, in cambio della chiusura definitiva della posizione debitoria. Questa procedura è spesso preferita dai debitori che, pur avendo accumulato un debito significativo, riescono a raccogliere una somma di denaro grazie a risparmi, vendite di beni o prestiti da familiari o amici. In pratica, il debitore propone al creditore di saldare il debito immediatamente, ma per un importo inferiore. Dal punto di vista del creditore, accettare una somma ridotta potrebbe essere comunque vantaggioso, poiché consente di ottenere una liquidità immediata senza dover attendere anni per il recupero del credito attraverso pignoramenti o trattenute sullo stipendio.
Ad esempio, se un debitore ha un debito di 30.000 euro e riesce a raccogliere 15.000 euro, può proporre al creditore di chiudere la posizione debitoria con questo pagamento immediato. Il creditore potrebbe accettare, considerando che il saldo e stralcio garantisce la chiusura del debito in tempi brevi e riduce i rischi e i costi di un eventuale contenzioso legale.
La rateizzazione del debito, invece, è una soluzione più adatta a chi non dispone di una somma immediata per il saldo e stralcio, ma desidera comunque evitare la procedura esecutiva o il pignoramento. In questo caso, il debitore negozia con il creditore un piano di rientro che preveda il pagamento del debito in rate mensili più sostenibili rispetto a una trattenuta automatica tramite pignoramento. La rateizzazione consente al debitore di mantenere un maggiore controllo sul proprio reddito e di pianificare i pagamenti in base alle proprie disponibilità economiche. Il creditore, da parte sua, accetta la dilazione dei pagamenti poiché ha la garanzia che il debitore si impegnerà formalmente a saldare il debito in un arco di tempo definito.
In entrambe le situazioni, è essenziale condurre una negoziazione in modo efficace e professionale. Per fare ciò, il debitore dovrebbe valutare attentamente la propria situazione economica e preparare una proposta che sia sia realistica per le proprie possibilità che ragionevole per il creditore. È consigliabile coinvolgere un avvocato o un consulente finanziario esperto in questo tipo di trattative, poiché possono fornire supporto nel definire i termini dell’accordo e garantire che la proposta sia formalizzata correttamente.
Un altro aspetto cruciale è la formalizzazione dell’accordo. Una volta raggiunta l’intesa con il creditore, è importante che l’accordo venga formalizzato per iscritto, con dettagli precisi riguardo ai termini del pagamento e alla rinuncia del creditore a ulteriori pretese una volta che il debito è stato saldato secondo l’intesa. Questo garantisce al debitore che, una volta effettuato il pagamento, non ci saranno ulteriori azioni legali da parte del creditore. Inoltre, la formalizzazione dell’accordo permette al debitore di richiedere la cancellazione del proprio nome dalle banche dati dei cattivi pagatori, come la CRIF, una volta concluso l’accordo.
Il ricorso alla negoziazione è particolarmente utile anche in situazioni di sovraindebitamento, dove il debitore non è più in grado di far fronte ai propri debiti con il proprio reddito ordinario. In questi casi, la legge n. 3/2012 prevede una serie di strumenti per gestire il debito, ma una negoziazione con il creditore può offrire soluzioni più rapide e meno complesse dal punto di vista legale. Il piano del consumatore, ad esempio, permette al debitore di proporre un piano di rientro su base volontaria, che può includere una riduzione delle somme dovute e una dilazione dei pagamenti.
In conclusione, la negoziazione di un accordo con il creditore offre al debitore un’opportunità concreta di evitare il pignoramento e di gestire i propri debiti in modo più flessibile. Attraverso strumenti come il saldo e stralcio o la rateizzazione, è possibile risolvere la questione debitoria in maniera sostenibile, senza dover affrontare le complicazioni e le pressioni di una procedura esecutiva. Tuttavia, per ottenere risultati positivi, è fondamentale che il debitore valuti con attenzione la propria situazione e coinvolga esperti del settore per garantire che l’accordo sia equo e vantaggioso per entrambe le parti.
Riassunto per punti:
- Saldo e stralcio: Il debitore propone al creditore di chiudere il debito pagando una somma inferiore a quella totale, ma immediatamente.
- Rateizzazione del debito: Il debitore negozia un piano di pagamento rateale, evitando il pignoramento e pianificando i pagamenti in modo sostenibile.
- Formalizzazione dell’accordo: È fondamentale che l’accordo sia messo per iscritto, con termini chiari riguardo al pagamento e alla rinuncia da parte del creditore di ulteriori azioni legali.
- Sovraindebitamento: In situazioni di grave indebitamento, la negoziazione con il creditore può essere un’alternativa più semplice e rapida rispetto alle procedure legali formali.
- Supporto legale: È consigliabile coinvolgere un avvocato o un consulente esperto per garantire che l’accordo venga gestito correttamente e che i diritti del debitore siano tutelati.
Come funzionano le procedure di sovraindebitamento?
Le procedure di sovraindebitamento, introdotte in Italia con la legge n. 3 del 2012, offrono ai debitori in difficoltà economica la possibilità di gestire e risolvere situazioni di debito insostenibile attraverso meccanismi che consentono la ristrutturazione del debito, la sospensione delle azioni esecutive, e in alcuni casi, la cancellazione parziale o totale dei debiti. Questi strumenti sono destinati principalmente a privati cittadini, piccoli imprenditori e professionisti che non possono accedere alle procedure fallimentari classiche, come il fallimento o il concordato preventivo.
Le principali procedure previste dalla legge sul sovraindebitamento sono tre: il piano del consumatore, l’accordo con i creditori, e la liquidazione controllata del patrimonio. Ognuna di queste soluzioni è pensata per categorie diverse di debitori e offre modalità differenti per affrontare la crisi finanziaria.
Il piano del consumatore è uno strumento riservato ai debitori privati che non hanno contratto debiti per scopi imprenditoriali, come famiglie e persone fisiche. Questo piano consente al debitore di presentare una proposta di rientro basata sulle proprie effettive capacità economiche, senza dover ottenere l’approvazione dei creditori. Il giudice, valutata la situazione del debitore e la sostenibilità del piano proposto, può approvarlo e disporre la sospensione delle azioni esecutive. Una volta approvato, il piano consente al debitore di pagare i debiti in base alle sue reali possibilità, con la possibilità di ottenere la riduzione dei debiti o la loro cancellazione parziale se non è possibile saldarli completamente. La caratteristica principale del piano del consumatore è che non richiede il consenso dei creditori, ma solo l’approvazione del giudice, il quale verifica la buona fede del debitore e la fattibilità del piano.
L’accordo con i creditori, invece, è una procedura destinata ai piccoli imprenditori, professionisti e altri soggetti che hanno contratto debiti anche per scopi professionali. A differenza del piano del consumatore, questo strumento richiede che i creditori che detengono almeno il 60% dei crediti approvino l’accordo. Il debitore presenta una proposta di pagamento che può prevedere la ristrutturazione dei debiti, la dilazione dei pagamenti, o la riduzione dell’importo dovuto. Se i creditori approvano l’accordo, e il giudice lo conferma, tutte le azioni esecutive vengono sospese e il debitore può procedere al pagamento secondo il piano stabilito. Questa soluzione è utile per i piccoli imprenditori che vogliono evitare il fallimento e continuare la loro attività economica.
La liquidazione controllata del patrimonio è un’altra procedura disponibile per i debitori che non riescono a far fronte ai propri debiti e non possono accedere alle altre due procedure. In questo caso, il debitore mette a disposizione dei creditori tutto il suo patrimonio, che viene liquidato (ovvero trasformato in denaro) per soddisfare i crediti. Tuttavia, il debitore può conservare i beni indispensabili per la propria vita e per l’esercizio della professione, come la prima casa o gli strumenti di lavoro. Questa procedura può essere volontaria, se richiesta dal debitore, o forzata, se i creditori ne fanno domanda. Una volta terminata la liquidazione, il giudice può concedere l’esdebitazione, ovvero la cancellazione dei debiti residui non saldati, liberando così il debitore da ogni ulteriore obbligo verso i creditori. L’esdebitazione è concessa solo se il debitore ha agito in buona fede e ha collaborato durante l’intera procedura.
Un aspetto fondamentale delle procedure di sovraindebitamento è la protezione che esse offrono al debitore durante il processo. Una volta che la procedura viene avviata, tutte le azioni esecutive e i pignoramenti in corso vengono sospesi, permettendo al debitore di riprendere il controllo della propria situazione finanziaria senza l’ulteriore pressione delle azioni legali. Inoltre, la procedura garantisce una maggiore trasparenza e coinvolge un giudice, il quale assicura che i diritti del debitore e dei creditori vengano rispettati.
Le procedure di sovraindebitamento sono strumenti utili per coloro che si trovano in una condizione di crisi economica grave, ma che vogliono trovare una soluzione legale e sostenibile per gestire i propri debiti. Questi meccanismi offrono la possibilità di ristrutturare i debiti in modo più equo, considerando le capacità effettive del debitore, e possono condurre alla completa liberazione dai debiti nel caso di esdebitazione.
Riassunto per punti:
- Piano del consumatore: Permette ai privati cittadini di proporre un piano di rientro basato sulle loro capacità economiche, senza necessità di consenso dei creditori.
- Accordo con i creditori: Richiede il consenso del 60% dei creditori, è destinato a piccoli imprenditori e professionisti, e consente la ristrutturazione del debito.
- Liquidazione controllata del patrimonio: Prevede la vendita del patrimonio del debitore per soddisfare i creditori, con possibilità di esdebitazione (cancellazione dei debiti residui).
- Esdebitazione: Cancellazione dei debiti residui dopo la liquidazione del patrimonio, se il debitore ha collaborato in buona fede.
- Sospensione delle azioni esecutive: Durante la procedura, tutte le azioni esecutive e i pignoramenti vengono sospesi, garantendo al debitore una pausa dai procedimenti legali.
Che cos’è l’esdebitazione del debitore incapiente?
L’esdebitazione del debitore incapiente è una misura prevista dalla legge italiana nell’ambito delle procedure di sovraindebitamento, introdotta dalla legge n. 3 del 2012. Si tratta di uno strumento che permette al debitore che si trova in una situazione di grave insolvenza, e che non ha beni sufficienti per soddisfare i creditori, di ottenere la cancellazione totale dei debiti residui, liberandosi da ogni obbligazione.
L’esdebitazione è destinata a quei soggetti che vengono definiti debitori incolpevoli o incapienti, ovvero persone che non sono in grado di soddisfare le proprie obbligazioni non per dolo o colpa, ma a causa di condizioni economiche estremamente difficili e imprevedibili, come la perdita del lavoro, malattie gravi, o altri eventi catastrofici che hanno impedito al debitore di mantenere un reddito sufficiente per far fronte ai propri debiti.
Il principio di base di questa procedura è che il debitore, avendo dimostrato di aver agito in buona fede e di aver collaborato con il tribunale e i creditori, può essere liberato dai debiti che non è in grado di pagare. Questa possibilità è particolarmente rilevante per le persone fisiche che non rientrano nelle categorie soggette a procedure fallimentari tradizionali, come i privati cittadini, i piccoli imprenditori o i liberi professionisti.
Per ottenere l’esdebitazione, il debitore incapiente deve soddisfare alcuni requisiti fondamentali. In primo luogo, deve dimostrare la propria buona fede, ovvero che la sua insolvenza non è stata causata da un comportamento colpevole o fraudolento. Il debitore deve, inoltre, aver cercato di collaborare con i creditori e con il giudice, ad esempio attraverso tentativi di pagare quanto possibile o di proporre soluzioni alternative. Infine, deve essere dimostrato che il debitore non possiede alcun patrimonio liquidabile con cui soddisfare, neppure in parte, i creditori.
La procedura di esdebitazione si svolge sotto il controllo del tribunale competente. Il giudice, dopo aver esaminato la situazione patrimoniale del debitore e la sua condotta, può decidere di concedere l’esdebitazione e, quindi, la cancellazione dei debiti residui. Una volta concessa l’esdebitazione, il debitore viene liberato da ogni obbligo verso i creditori, e nessuna ulteriore azione esecutiva potrà essere intrapresa nei suoi confronti.
Tuttavia, non tutti i debiti possono essere cancellati tramite l’esdebitazione. La legge prevede delle eccezioni per debiti specifici che non possono essere oggetto di esdebitazione, come i debiti alimentari (ad esempio, per il mantenimento del coniuge o dei figli), i risarcimenti dovuti per danni causati da illecito civile, o le sanzioni amministrative e fiscali. Questi tipi di debito devono comunque essere saldati, anche dopo la concessione dell’esdebitazione.
In sintesi, l’esdebitazione del debitore incapiente è un’importante opportunità per chi si trova in condizioni di insolvenza senza colpa. Essa permette di ottenere una “nuova vita economica”, liberando il debitore da debiti che non sarebbe mai in grado di pagare, a condizione che abbia agito in buona fede e abbia dimostrato la sua incapacità a pagare in modo documentato e trasparente.
Riassunto per punti:
- Esdebitazione: Cancellazione totale dei debiti per il debitore incapiente, che non possiede beni per soddisfare i creditori.
- Destinatari: Persone fisiche, piccoli imprenditori, e liberi professionisti esclusi dalle procedure fallimentari tradizionali.
- Requisiti: Buona fede del debitore, collaborazione con i creditori e il tribunale, dimostrazione dell’incapacità a pagare.
- Procedure: Controllo del tribunale, che verifica la condotta del debitore e il suo patrimonio prima di concedere l’esdebitazione.
- Eccezioni: Non possono essere cancellati i debiti alimentari, risarcimenti per illeciti, o sanzioni amministrative e fiscali.
Quali altre opzioni esistono per sospendere il pignoramento?
Esistono diverse opzioni legali e procedurali che il debitore può utilizzare per sospendere un pignoramento. Queste opzioni, che mirano a bloccare temporaneamente o in alcuni casi definitivamente il pignoramento, dipendono dalle specifiche circostanze del debitore e dal tipo di debito. Ecco alcune delle principali possibilità:
Una delle più comuni è l’opposizione al pignoramento, prevista dall’art. 615 del Codice di Procedura Civile. Questa procedura consente al debitore di contestare la validità del titolo esecutivo o del debito stesso. L’opposizione può essere presentata prima che il pignoramento abbia inizio, bloccando quindi l’avvio della procedura, oppure può essere presentata successivamente per ottenere la sospensione dell’esecuzione in corso. Questo strumento è utilizzabile in casi di errori procedurali, debiti estinti, o quando il debito è prescritto. La sospensione viene decisa dal giudice se ritiene che esistano fondati motivi per bloccare temporaneamente il pignoramento in attesa della risoluzione della controversia.
Un’altra opzione è l’opposizione agli atti esecutivi, regolata dall’art. 617 del Codice di Procedura Civile. Questa forma di opposizione può essere utilizzata quando si vogliono contestare errori formali nella procedura esecutiva, come una notifica errata dell’atto di precetto o del pignoramento, oppure il mancato rispetto dei termini di legge. In questo caso, il giudice può decidere di sospendere il pignoramento fino a quando non verrà verificata la correttezza della procedura.
Il debitore può anche richiedere al giudice la riduzione o sospensione del pignoramento in caso di difficoltà economiche particolarmente gravi. Questo è possibile se il pignoramento mette a rischio la capacità del debitore di mantenere sé stesso e la propria famiglia. In questi casi, il giudice può decidere di ridurre la quota pignorata (che, di norma, è pari a un quinto dello stipendio netto) o di sospendere temporaneamente la procedura per consentire al debitore di trovare una soluzione finanziaria.
Esiste poi la possibilità di richiedere la sospensione per gravi motivi, una misura cautelare che può essere richiesta dal debitore quando il pignoramento rischia di causare danni irreparabili, come l’impossibilità di coprire le spese mediche essenziali o di far fronte ad altre necessità vitali. Questa sospensione può essere temporanea, ma offre al debitore un margine di respiro per cercare alternative o risolvere la situazione debitoria.
La negoziazione con il creditore rappresenta un’altra via possibile. In alcuni casi, il debitore può cercare di trovare un accordo con il creditore, ad esempio proponendo un saldo e stralcio o un piano di rientro rateizzato che risolva il debito senza ricorrere all’esecuzione forzata. Se il creditore accetta un accordo extragiudiziale, il pignoramento può essere sospeso o annullato.
Un’altra possibilità è offerta dalle procedure di sovraindebitamento, introdotte dalla legge n. 3/2012. Queste procedure consentono al debitore di proporre un piano di ristrutturazione del debito o di mettere a disposizione il proprio patrimonio per la liquidazione dei crediti, con la possibilità di ottenere la sospensione delle azioni esecutive, inclusi i pignoramenti. Se il piano viene approvato dal giudice, tutte le esecuzioni forzate vengono sospese, permettendo al debitore di gestire il debito in modo più sostenibile.
Infine, esiste la possibilità di ricorrere alla esdebitazione del debitore incapiente, anch’essa prevista dalla legge sul sovraindebitamento. In questo caso, il debitore che non è in grado di pagare i propri debiti né di offrire garanzie patrimoniali può ottenere la cancellazione dei debiti residui, liberandosi così dalle obbligazioni non saldate e facendo cessare eventuali azioni esecutive, inclusi i pignoramenti.
Riassunto per punti:
- Opposizione al pignoramento (art. 615 c.p.c.): permette di contestare la validità del debito o del titolo esecutivo e ottenere la sospensione della procedura.
- Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): consente di contestare errori formali nella procedura esecutiva e richiedere la sospensione.
- Riduzione o sospensione per difficoltà economiche: il giudice può ridurre la quota pignorata o sospendere il pignoramento in caso di gravi difficoltà economiche.
- Sospensione per gravi motivi: sospensione temporanea per evitare danni irreparabili al debitore.
- Negoziazione con il creditore: possibilità di accordarsi con il creditore per un saldo e stralcio o un piano di rientro, con conseguente sospensione del pignoramento.
- Procedure di sovraindebitamento (legge n. 3/2012): consentono la sospensione del pignoramento in attesa dell’approvazione di un piano di ristrutturazione o liquidazione del debito.
- Esdebitazione del debitore incapiente: possibilità di ottenere la cancellazione dei debiti residui e la cessazione di tutte le azioni esecutive.
Conclusioni e Come Possiamo Aiutarti In Studio Monardo, Gli Avvocati Specializzati In Cancellazione Debiti e Pignoramenti
Affrontare un pignoramento o gestire un debito insostenibile è una delle esperienze più difficili che una persona possa affrontare. La pressione economica e psicologica che deriva da queste situazioni può portare il debitore a sentirsi intrappolato, impotente e senza vie d’uscita. Tuttavia, in molti casi, è possibile intervenire legalmente per difendersi e, in certi contesti, persino ottenere la cancellazione del debito. È in questo contesto che la figura di un avvocato esperto in cancellazione debiti e pignoramenti diventa fondamentale, rappresentando non solo una guida legale, ma anche un alleato strategico per difendere i diritti del debitore.
L’importanza di avere un avvocato esperto al proprio fianco risiede nella complessità delle procedure esecutive e delle leggi che le regolano. Il Codice di Procedura Civile italiano e le normative sul sovraindebitamento offrono molteplici strumenti di difesa, ma questi strumenti devono essere utilizzati in modo tempestivo e corretto. Un avvocato esperto conosce a fondo queste norme e sa come individuare le irregolarità o i vizi di forma che potrebbero portare all’annullamento del pignoramento o alla sospensione della procedura esecutiva. La gestione di tali strumenti non è facile per una persona non esperta: i termini per presentare le opposizioni sono stringenti, così come la documentazione necessaria per dimostrare, ad esempio, la prescrizione di un debito o l’esistenza di beni impignorabili.
Uno dei vantaggi principali di avere un avvocato esperto è la capacità di valutare con precisione se e come contestare un pignoramento. L’opposizione al pignoramento, regolata dall’art. 615 del Codice di Procedura Civile, e l’opposizione agli atti esecutivi, disciplinata dall’art. 617, sono strumenti potentissimi, ma richiedono una preparazione tecnica per essere utilizzati con successo. Ad esempio, un errore nella notifica del precetto o una contestazione sulla validità del titolo esecutivo possono essere ragioni sufficienti per bloccare l’esecuzione, ma queste irregolarità devono essere individuate e dimostrate nel modo corretto. Solo un professionista del settore è in grado di analizzare la documentazione e decidere quale strategia adottare per difendere il debitore.
Un altro punto chiave è la capacità di un avvocato di gestire la negoziazione con i creditori. Non sempre è necessario portare avanti la battaglia legale fino in fondo: in molti casi, un avvocato esperto può negoziare un accordo extragiudiziale, come un saldo e stralcio, che permette al debitore di chiudere la posizione pagando una somma inferiore rispetto al debito totale. Questo tipo di accordi, però, richiede una profonda conoscenza delle dinamiche finanziarie e legali che regolano il rapporto tra debitore e creditore. Un avvocato con esperienza nel settore sa come muoversi per ottenere le condizioni migliori per il proprio cliente, evitando che il debitore debba subire un pignoramento lungo e costoso.
La tempistica è un altro aspetto critico nella gestione delle procedure esecutive. I pignoramenti possono essere sospesi o ridotti, ma è essenziale agire nei tempi previsti dalla legge. Un avvocato esperto può monitorare ogni fase della procedura, assicurandosi che non vengano persi i termini per presentare un’opposizione o richiedere una sospensione del pignoramento. Questo controllo costante permette di evitare che il debitore subisca trattenute ingiustificate sul proprio stipendio o la vendita dei propri beni, proteggendo così i suoi diritti. Inoltre, un avvocato può gestire la documentazione richiesta per dimostrare la difficoltà economica del debitore, essenziale per ottenere una riduzione della quota pignorata o una sospensione temporanea.
L’aspetto psicologico del debito e del pignoramento non è da sottovalutare. Il debitore si trova spesso a vivere una situazione di forte stress, preoccupato per il proprio futuro e quello della propria famiglia. Avere al proprio fianco un avvocato che gestisce ogni dettaglio legale offre un supporto non solo giuridico, ma anche morale. Sapere di poter contare su un professionista che si occupa di difendere i propri diritti e trovare soluzioni concrete alla crisi debitoria permette di affrontare la situazione con maggiore serenità e fiducia.
Le procedure di sovraindebitamento, disciplinate dalla legge n. 3 del 2012, sono un altro strumento potente, ma anche complesso da gestire. Il piano del consumatore, l’accordo con i creditori e la liquidazione controllata del patrimonio sono tutte soluzioni che possono portare alla riduzione del debito o alla sospensione delle azioni esecutive. Tuttavia, per accedere a queste procedure, è necessario preparare una proposta solida e ben strutturata, che tenga conto delle effettive possibilità economiche del debitore e delle esigenze dei creditori. Anche in questo caso, l’assistenza di un avvocato è essenziale per preparare e presentare una proposta che abbia reali possibilità di essere approvata dal giudice e dai creditori.
L’esdebitazione, ovvero la cancellazione dei debiti residui, è il risultato finale che molti debitori sperano di ottenere attraverso le procedure di sovraindebitamento. Tuttavia, per raggiungere questo obiettivo, è necessario dimostrare di aver agito in buona fede, di non aver commesso atti fraudolenti, e di aver collaborato con il giudice e i creditori durante l’intera procedura. Un avvocato esperto può aiutare il debitore a dimostrare la propria buona fede e a rispettare tutti i requisiti previsti dalla legge, aumentando così le probabilità di ottenere la cancellazione dei debiti.
Inoltre, l’assistenza di un avvocato esperto è fondamentale per proteggere i beni impignorabili del debitore, come stabilito dagli articoli 514 e 545 del Codice di Procedura Civile. Un avvocato può assicurarsi che i beni indispensabili per la vita quotidiana, gli strumenti di lavoro, e il minimo vitale necessario al sostentamento del debitore non vengano toccati dalla procedura esecutiva. Senza una guida legale adeguata, il debitore potrebbe non essere consapevole di questi diritti e subire pignoramenti su beni che, per legge, non dovrebbero essere aggrediti.
In conclusione, affrontare un pignoramento o una situazione di debito senza l’assistenza di un avvocato esperto in cancellazione debiti e pignoramenti espone il debitore a rischi significativi. La complessità delle leggi che regolano il pignoramento e le numerose possibilità di difesa disponibili richiedono una gestione tecnica e professionale che solo un legale specializzato può offrire. Un avvocato non solo difende i diritti del debitore, ma lo guida nella scelta della strategia più adeguata, offrendo supporto legale e psicologico, e aumentando significativamente le probabilità di successo nel ridurre o eliminare il debito.
In tal senso, l’avvocato Monardo, coordina avvocati e commercialisti esperti a livello nazionale nell’ambito del diritto bancario e tributario, è gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012), è iscritto presso gli elenchi del Ministero della Giustizia e figura tra i professionisti fiduciari di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi).
Ha conseguito poi l’abilitazione professionale di Esperto Negoziatore della Crisi di Impresa (D.L. 118/2021).
Perciò se hai bisogno di un avvocato esperto in cancellazione debiti e pignoramenti, qui di seguito trovi tutti i nostri contatti per un aiuto rapido e sicuro.